mercoledì 9 gennaio 2013

Il digiuno terapeutico


La parola digiuno non passa mai inosservata e il suo significato evoca sempre emozioni e pareri contrastanti. La cosa certa è che molti sono i luoghi comuni che cercano di screditare questo efficace strumento di guarigione fisica e mentale utilizzato da sempre in tutte le culture. Ridurre l’assunzione di cibo fino alla sospensione totale (temporaneamente) è un atto che facciamo d’ist into quando non stiamo tanto bene. Molti animali quando sono feriti o ammalati rifiutano il cibo per curarsi e guarire prima. Il concetto di cura è insito nel digiuno che in effetti è in grado di portare sollievo a molte malattie croniche e degenerative, e ad una molteplicità di disagi fisici, primi fra tutti i disturbi digestivi, le intolleranze, il sovrappeso e l’obesità . Opinioni contrarie al digiuno dicono che è inutile e pericoloso perché attraverso di esso non si bruciano grassi, ma si perdono solo proteine e quindi muscoli. Di solito questa critica viene sempre accompagnata da un’altra che spaventa ancora di più: dopo il digiuno si riprendono tutti i chili persi con gli interessi; non con le proteine ma con il grasso! Il meccanismo sarebbe il seguente: digiunando non si introducono zuccheri e siccome il cervello funziona a glucosio, l’organismo, per averne, attiverebbe un meccanismo di sopravvivenza chiamato gluconeogenesi, che come dice la parola stessa, serve a creare nuovo glucosio attraverso, però, lo smantellamento delle proteine (muscoli). Documentandomi ho inteso che questo meccanismo certamente esiste, ma può insorgere solo nei digiuni totali molto prolungati e senza i dovuti accorgimenti. Le cose, in realtà, stanno un poco diversamente. Dal momento che gli zuccheri non sono più introdotti con il cibo, l’organismo attiva un meccanismo di sopravvivenza generando una sostanza, a partire dallo smantellamento dei grassi, che va a sostituire egregiamente il glucosio. Il meccanismo si chiama chetogenesi, e la sostanza prodotta è il D-beta-idrossibutirrato, un componente dei corpi chetonici. Uno studio pubblicato nel 1981 e consultabile su PubMed, il sito che raccoglie la letteratura medico scientifica mondiale, afferma che “l’adattamento metabolico dell’uomo al digiuno, semidigiuno e restrizione dei carboidrati è un meccanismo complesso e coinvolge ormoni, substrati e tessuti. In particolare, la produzione di chetoacidi, acido beta-idrossibutirrico e acido acetoacetico, per sostituire il glucosio come principali carburanti per il cervello dell’uomo a digiuno, rappresenta la chiave di svolta per il risparmio proteico”. Un altro studio del 2001 afferma che “la chetosi, caratterizzata dall’aumento nel sangue di D-beta-idrossibutirrato e acetoacetato, è il principale meccanismo chiamato in causa per la sopravvivenza dell’uomo a digiuno, in quanto i chetoni rappresentano substrati energetici cerebrali alternativi al glucosio e proteggono i muscoli dalla degradazione necessaria per la sintesi di glucosio”. Inoltre, continua lo studio, “sorprendentemente il D-beta-idrossibutirrato rappresenta anche una più efficiente risorsa di energia per il cervello, per unità di ossigeno”. Nello studio si fa riferimento anche al fatto che i chetoacidi possono avere utilità per contrastare il danno da radicali liberi, cosa che giustificherebbe l’aspetto disintossicante e rigenerativo dei digiuni. Ho letto che nel 2003 altri ricercatori hanno pubblicato l’ennesimo studio in cui in un organismo a digiuno “il D-beta-idrossibutirrato, sostituisce il glucosio come carburante principale per il cervello, riducendo la sintesi di glucosio dal fegato e dal rene e permettendo, in tal modo, il risparmio dei precursori, gli aminoacidi di origine muscolare. In questo modo un uomo di 70 chili sopravvive al digiuno per due-tre mesi, invece di alcune settimane, mentre un uomo obeso può sopravvivere molti mesi. Senza questo meccanismo metabolico adattativo l’Homo Sapiens non avrebbe potuto sviluppare una massa cerebrale così abbondante. Studi recenti hanno dimostrato che il D-beta-idrossibutirrato non è un semplice carburante, ma un supercarburante, dotato di maggiore efficienza nel produrre ATP rispetto al glucosio e agli acidi grassi. Come si comprende facilmente, quindi, spesso sentiamo sui digiuni affermazioni contrarie solo da parte di chi, evidentemente, non solo non ha mai vissuto l’esperienza di un digiuno volontario, ma nemmeno lo ha mai visto fare. Probabilmente non ha neanche mai parlato seriamente con qualcuno che lo ha fatto o con qualche medico o terapista esperto di digiuni. Un’altra cosa su cui è bene chiarirsi è che c’è una grande differenza fra un digiuno volontario (scelto liberamente) ed un digiuno imposto. In caso di imposizione (povertà, carestia, guerra, disastro ambientale, interventi chirurgici e ospedalizzazione, preparazioni ad esami clinici, ecc..), nella mente e di conseguenza nel corpo della persona comune, non si attivano gli stessi processi emozionali ed ormonali che si attiverebbero nel digiuno praticato per libera scelta. In questo ultimo caso, il digiuno è sostenuto da motivazioni che possono essere diverse ma che sono comunque riconducibili a scopi di disintossicazione, guarigione, dimagrimento, superamento di periodi difficili della vita, autodisciplina mentale, superamento degli schemi di at taccamento al cibo, meditazione e ricerca spirituale. Anche se digiunare di per sé non significa automaticamente evolversi spiritualmente, essere contrari al digiuno a priori, e senza conoscerlo, è certamente indice di pregiudizio e chiusura mentale. Il digiuno è uno strumento potente che va usato con sapienza perché altrimenti a volte può portare anche ad indebolirsi, specialmente quando la pratica viene svolta senza i presupposti della giusta motivazione, della buona tecnica e senza possedere i requisiti fisici richiesti.

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